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Syphon Filter: intervista a John Garvin

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Articolo a cura di Domenico Leonardi

E’ facile dimenticare che “tactical espionage action” è una innovazione relativamente recente nel mondo dei videogiochi. Gli apripista del genere, Metal Gear Solid e Syphon Filter, emersi alla fine degli anni 90, hanno ricevuto grandi consensi di critica e di pubblico, e hanno fatto scuola.

Un approccio più realistico e aperto verso il combattimento ha toccato presto il genere action, portando avanti gli sviluppi dell’intelligenza artificiale, del level design e della narrativa – spianando la strada ai successori del genere, da Sly Cooper ad Assassin’s Creed.

Syphon Filter si è avvicinato molto di più all’estremo action-adventure della categoria, anche se anch’esso ha lasciato un segno indelebile nel genere grazie al approccio realistico al combattimento. I nemici si chinavano per ripararsi dietro agli oggetti, un vasto arsenale di gadget dava ai giocatori la possibilità di cambiare le strategie di lotta, e gli headshot freddavano gran parte degli avversari all’istante.

La storia scottante di Syphon Filter è l’emblema di quello che stava accadendo all’epoca nel videogame design: mescolare temi contemporanei (virus programmabili, misteriose reti terroristiche) con un super spia intraprendente – Gabe Logan.

Il PlayStation Blog è andato a trovare il Creative Director di Bend Studio, John Garvin, per sapere di più sulla creazione di questo classico PSone.


  • Qual è stata l’idea alla base del gioco? E’ stato concepito come risposta a Metal Gear Solid o come concept originale?
John Garvin: Metal Gear Solid non ha avuto niente a che fare con la genesi di Syphon Filter. Non ne avevamo mai neanche sentito parlare ai tempi delle fasi iniziali dello sviluppo del nostro gioco. L’idea venne ad un produttore di 989 Studios (all’epoca sotto Sony) che scrisse una sinossi di una pagina che chiamò “Syphon Filter”. Questa sinossi non aveva significato compiuto, nel senso che non c’era alcuna trama, nessun personaggio, nessun intreccio, c’erano solo sprazzi di idee sugli ambienti, sulle meccaniche di gioco e sul gameplay. Sin dall’inizio il titolo è stato pensato come uno “stealth action” (sin dai tempi in cui questo genere non esisteva) che si focalizzava molto sulle armi, gadget e, appunto, azione stealth. Volevamo che il giocatore si sentisse una super spia. Il nostro Lead Designer era stato molto influenzato da GoldenEye di Nintendo, forse all’epoca il titolo più vicino alle dinamiche di un gioco come Syphon Filter.


  • Vi rendevate conto che stavate lavorando su qualcosa di speciale? Quali sono stati gli stati d’animo che vi hanno accompagnato nel processo creativo – incertezza, fiducia, terrore?
John Garvin: Principalmente terrore. E’ stato un progetto difficile in termini di sviluppo, per molte ragioni. Non c’erano giochi, o forse pochissimi, a cui potevamo attingere per cercare ispirazione. Gran parte del team non aveva esperienza nello sviluppo di un gioco come il nostro. I ragazzi di Eidetic avevano appena concluso Bubsy 3D, quindi avevano già lavorato nel campo degli action game in terza persona, ma Bubsy era un platform cartoonesco quindi non era esattamente un titolo da cui attingere in termini di bagaglio d’esperienza.

Sono entrato a far parte del progetto Syphon Filter dopo la produzione del primo prototipo (un semplice segmento di gioco con protagonista una sparatoria in metropolitana); anche io avevo lavorato a tutt’altro genere di titoli fino a quel momento, ad esempio MissionForce: Cyberstorm (uno strategico) e Bouncers per Sega CD, gioco per cui ho ricoperto il ruolo di Art Director. Nessuno di noi sapeva aveva l’esperienza necessaria per produrre uno shooter realistico a tema spionistico.

Il primo Syphon Filter ha attraversato alcuni momenti difficili ed è stato anche vicino alla cancellazione più volte perché non riuscivamo a rispettare le date di scadenza, facevamo aggiustamenti continui alle meccaniche di gioco, cambiavamo l’ordine dei livelli, modificavamo la storia, in poche parole stavamo cercando di capire in corsa cosa diavolo stessimo facendo. Connie Booth, il produttore di 989 affidato al nostro progetto, e il suo boss Kelly Flock, avevano grande fiducia in questo gioco appartenente al nuovo genere “spionaggio”. Abbiamo lavorato a ritmi forsennati per circa un anno, perché stavamo cercando di produrre un gioco all’altezza delle aspettative di tutti.

Ci siamo accorti di aver lavorato a qualcosa di speciale solo quando abbiamo consegnato il gioco e le vendite sono esplose, andando oltre ogni più ottimistica speranza. Credo che il titolo abbia venduto più di un milione di copie nel primo anno. E’ stato incredibile. I giocatori avevano dimostrato di apprezzare il nuovo mix di meccaniche che avevamo proposto – sgattaiolare furtivamente, combattere i terroristi schivando vagoni della metropolitana, sparare il taser per la città, far bruciare un terrorista tra le fiamme. I giocatori non avevano mai provato niente del genere in passato. Questo genere di cose è abbastanza comune ora, ma prima molto innovativo.


  • Avete preso ispirazione da qualcosa in particolare per il look del gioco e per la sua atmosfera?
John Garvin: E’ stata quasi tutta farina del mio sacco. Molti giochi di questo periodo hanno un look buio, essenziale, monocromatico, mentre i giochi cui giocavo verso la fine degli anni 90 erano tutti molto colorati e non così realistici. Guardate le immagini di Unreal, Turok 2, o Rainbow Six, giochi sicuramente realistici ma con una palette di colori che sembra quasi senza capo né coda. Ricordo di essere stato ispirato da Salvate il Soldato Ryan – che è uscito nella seconda metà del 1998, credo – e Half Life.

Era un titolo molto ambizioso per l’epoca. Quali sono state le sfide più grandi che avete incontrato durante il processo creativo che vi ha portato a sviluppare le vostre idee originali?
Non si è trattato di sviluppare le nostre idee originali, perché le abbiamo create man mano che ci venivano in mente. Sapevamo di volere un action game in terza persona e che volevamo avverare le fantasie di tutti coloro che volevamo vestire i panni della super spia. E per raggiungere il nostro scopo siamo stati anche disposti ad inserire elementi di qualità leggermente “infima”.

Per esempio le nostre sequenze in computer grafica renderizzata erano abbastanza “low budget”. Non avevamo neanche creato delle mani con delle dita visibili. Tutti i nostri personaggi avevano delle mani “a scatola”, ma questo non ci ha impedito di fare filmati in computer grafica perché c’era una storia che volevamo raccontare. Il nostro motto era “meglio un film brutto che non fare il film per niente”. Lo stesso è accaduto per le sequenze di gameplay.

C’era un livello in cui Gabe, la super spia protagonista del gioco, doveva indossare uno smoking ed infiltrarsi all’interno di una serata di gala per spiare un obiettivo. Oggi l’intera sequenza verrebbe realizzata in maniera molto costosa, sfruttando set, extra, costumi, molto motion capture e animazioni; all’epoca abbiamo colorato in maniera diversa i personaggi non giocabili, tutti dotati dello stesso modello, e realizzato animazioni low budget in cui erano intorno ad un tavolo a bere dei cocktail.

Iniziato il livello, il giocatore poteva ascoltare il loop audio di un party, ma non poteva entrare nella stanza in cui c’era davvero il party. Questo genere di espedienti non funzionerebbero al giorno d’oggi, ma in passato ci siamo trovati a sfruttare ogni genere di scorciatoia per aumentare l’intensità dell’esperienza senza preoccuparci troppo delle raffinatezze. Solo il gioco era importante.


  • Quanto si avvicina il gioco finito alle vostre idee di partenza?
John Garvin: Di nuovo, Syphon Filter non è stato sviluppato in maniera convenzionale. Solo l’idea di mettere il giocatore nei panni di una super spia è rimasta sempre la stessa, sin dalle prime battute, ma tutto il resto è stato pensato e realizzato man mano che procedevamo con lo sviluppo. E’ un modo folle di creare un gioco, ma non abbiamo potuto fare altro perché il nostro team era composto da soli 13 membri, circa.

Ecco alcuni esempi: quando sono entrato nel team, la storia di Syphon Filter trattava di alcuni scienziati rapiti e portati in un complesso sotterraneo per sviluppare una macchina del tempo per conto di uno scienziato cattivo o del governo. Sono stato ingaggiato come Art Director, ma ho iniziato a dare i miei consigli per migliorare la storia e renderla più al passo con i tempi, più rilevante.

Ai dirigenti dello studio è piaciuta la mia idea così, a metà dello sviluppo del gioco, ho riscritto tutto da capo, partendo dall’idea che Syphon Filter fosse una parola in codice per un letale virus “programmabile”. Non era niente di innovativo, la fantascienza e il cinema hanno esplorato questo tema per anni, ma per il mondo dei videogiochi era ancora fresco.

Abbiamo cambiato l’ordine dei livelli anche a poche settimane dalla consegna definitiva del gioco, per cercare di rendere il tutto il più omogeneo possibile. Abbiamo cambiato location e concept in corsa: la battaglia contro il boss Gyrdeux doveva avvenire in un parcheggio, ma ricordo che pensai che fosse difficile per l’epoca costruire tutte quelle macchine e rinchiudere il giocatore in uno schema chiuso come un parcheggio… senza contare che molto probabilmente il nostro motore grafico non avrebbe retto lo sforzo.

Quindi sono tornato a casa nel weekend e ho costruito la stanza col monumento commemorativo, dotata di quella scultura a muro che decorava tutta la parete. Si è rivelata una soluzione dall’ottimo impatto visivo e facilmente realizzabile.

Fino al sequel non abbiamo avuto una visione d’insieme del gioco. L’intera squadra ha avuto una settimana di pausa e il sottoscritto insieme al co-creatore del gioco, Richard Ham, abbiamo scritto lo script di Syphon Filter 2. Credo di aver impiegato un weekend a scrivere l’intera sceneggiatura. Rich mi ha aiutato a revisionare la seconda metà del gioco, e ha introdotto tutta la faccenda di Mosca, rendendo la fine della storia più eccitante e confacente ai canoni classici dello spionaggio. Al ritorno dalle vacanze del team, abbiamo impiegato un anno per realizzare esattamente quello che avevamo scritto. Quella è stata la prima volta che abbiamo avuto una visione globale di quello che dovevamo fare e l’abbiamo seguita dall’inizio alla fine.


  • Di quali elementi di gioco siete maggiormente orgogliosi?
John Garvin: Personalmente, sono molto orgoglioso degli elementi cardine della storia. In quei giorni non c’erano molti videogiochi che trattavano argomenti al passo con i tempi – armi biochimiche, terrorismo, agenzie segrete che agiscono al di fuori della legge.

Ricordate che stiamo parlando di prima dell’11 settembre. Stavamo facendo qualcosa che non si vedeva all’epoca nei videogiochi: Teresa Lipan, la mente dell’agenzia, era una donna di stirpe indo americana… Lawrence Mujari, il biologo, era un maschio afroamericano, Lian Xing, una donna cinese, e così via… ci siamo sforzati il più possibile per rendere i personaggi diversi e fuori dagli stereotipi. Abbiamo cercato anche di iniettare il più alto livello di realismo mai visto prima in un gioco.

Spesso durante lo sviluppo di un gioco (anche oggi) qualcuno esclama “Che importa? E’ solo un gioco!”. Quel modo di pensare mi ha sempre disturbato. Volevo che i personaggi avessero motivazioni autentiche, obiettivi di livello che avessero senso, da incastrare nell’arco degli eventi della storia, location dal feeling reale e con dettagli accurati.

Abbiamo inserito cose folli nella storia, oggi non so se la scamperemmo. Per esempio (spoiler!), ad un certo punto nel gioco, Gabe salva dei soggetti e inietta loro un vaccino. Solo più tardi scoprirà che non li sta salvando ma li sta uccidendo perché il vaccino era in realtà un veleno; dopodiché gli scienziati circondano e costringono alla resa Gabe e lui per difendersi è costretto a sparargli. E stiamo parlando di gente disarmata – beh, erano pur sempre scienziati cattivi.

Abbiamo fatto saltare una metropolitana di Washington DC per mano di alcuni terroristi – potremmo farlo oggi? Sono tutti temi scottanti per gli standard di oggi, ma nel 1999 parlarne in un videogioco ti coglieva di sorpresa. Oh, poi c’era il taser. Abbiamo amato il taser.


  • Come vuoi che venga ricordato Syphon Filter? Cosa ha portato al mondo dei videogiochi?
John Garvin: Per quello che è stato: il primo esponente del suo genere, un mix di stealth, azione, realismo, temi contemporanei, armi realistiche e gadget, con elementi della storia davvero taglienti. Chiunque lavori nel mondo dei videogiochi sa che essere originali è molto difficile, avere idee innovative, nuove meccaniche e nuovi modi di giocare. Syphon ha fatto tutto questo e ha dato origine ad un genere; molti giochi usciti dopo il nostro sono stati semplici variazioni sul tema. Per molti versi, siamo stati i primi.


  • Quale personaggio di Syphon Filter ti è rimasto nel cuore?
John Garvin: Del primo Syphon Filter, sicuramente la star in persona, Gabe Logan. Il modo in cui le sue battute sono state doppiate da John Chacon è unico, per usare un eufemismo. Gabe ha impersonato il modello dello stoico eroe d’azione… ma con un cuore. Mi piace anche Mara Aramoy… come si fa a non apprezzare quella risata? Dei giochi successivi, sceglierei Teresa Lipan o forse Stone ma no, nessuno è come Gabe Logan.

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